ISLAM E CAPITALISMO: USURA E INTERESSE

1.

Dall'antologia del Corano riportata in precedenza, è facile estrapolare alcuni versetti inequivocabili inerenti l'usura:

"Coloro che si nutrono di usura resusciteranno come chi sia stato toccato da Satana. E questo perché dicono: "Il commercio è come la usura!". Ma Allah ha permesso il commercio e ha proibito l'usura."

"O voi che credete, temete Allah e rinunciate ai profitti dell' usura se siete credenti.

Se non lo farete vi è dichiarata guerra da parte di Allah e del Suo Messaggero; se vi pentirete, conserverete il vostro patrimonio."

"O voi che credete, non cibatevi dell'usura che aumenta di doppio in doppio. E temete Allah, affinché possiate prosperare."

L'importanza di questi versetti è da ricondurre al fatto che il fondamentalismo islamico, poggiando peraltro su di un'interpretazione tradizionale che non si è minimamente modificata nel corso dei secoli, estende il concetto di usura a qualunque forma di prestito di denaro in cambio del quale il creditore richiede una somma maggiore rispetto a quella che egli ha dato. Tale estensione definisce usurario anche l'interesse che è il fondamento del sistema capitalistico. Essa, dunque, che perpetua il tabù dell'usura già presente nell'Antico Testamento e perpetuato dal Cristianesimo fino al XIV° secolo, rappresenta, se non l'unico, il più tenace ostacolo alla "modernizzazione" dei paesi islamici, vale a dire al loro inserimento nel circuito della globalizzazione.

E' difficile minimizzare quest'aspetto se si tiene conto che gran parte delle tensioni tra Islam e Occidente sono da ricondurre al fatto che lo sviluppo del capitalismo contemporaneo non può prescindere dall'estensione mondiale del mercato e del sistema dei prestiti su cui esso si fonda. Non è dunque superfluo soffermasi su di esso, cercando di approfondirne le ragioni socioeconomiche e culturali.

Il dato da cui si può partire è una circostanza singolare, e nota da tempo. La massiccia immigrazione in Occidente dai paesi islamici, che comporta il ricongiungersi di interi nuclei familiari, fa sì che i redditi da lavoro, dato il tenore di vita piuttosto parco degli islamici, dà luogo a risparmi. Il capitalismo, in questa fase critica congiunturale che praticamente azzera la propensione al risparmio degli occidentali, è avido di denaro da investire. I musulmani, almeno quelli osservanti, sono però restii a portare i loro soldi in banca perché l'interesse pur minimo dei conti correnti è incompatibile con il tabù dell'usura. Di altri investimenti, azionari e obbligazionari, non se ne parla neppure.

Nell'intento di predisporre un conto corretto compatibile con il Corano, una banca marchigiana - la Cassa di Risparmio di Fabriano - ha deciso di distribuire ai correntisti islamici alla fine dell'anno voucher per pasti e shopping invece dei "soliti" interessi in denaro. Un'abile mossa di marketing? Il direttore generale della banca afferma: "E' solo una questione di rispetto per le altre culture, un modo per offrire uno strumento utile e conforme al regime di vita di tutti". Il problema è che il rispetto per le altre culture richiede una conoscenza non superficiale delle stesse. All'epoca di Maometto, raramente si usava la moneta per concedere prestiti a usura. La moneta, poi, come sanno tutti gli economisti, è una merce scambiabile con qualunque altra merce. La "trovata" della banca marchigiana fa acqua: denaro o buono, sempre di un di più rispetto alla somma depositata si tratta, e dunque di interessi.

La questione sembra di lana caprina, legata ad uno fondamentalismo conservatore e antistorico. Essa invece è più complessa. Non sono solo i dettami del profeta a vietare di concedere e incassare interessi, ma l'organizzazione stessa della società islamica che si basa su al Quard Hasan, il prestito benevolo. "Se io sono in difficoltà - spiega il presidente dell'unione delle Comunità islamiche in Italia - e lei mi presta mille euro, alla fine dell'anno io divido con Lei il guadagno che ho realizzato. Ma se sono sfortunato e perdo quei mille euro, io resto povero e lei non avrà più i suoi mille euro. In una transazione all'occidentale io dovrei comunque restituirle il prestito e per di più con gli interessi". Una bella differenza, certo, che fa a pugni con il concetto stesso di banca e con l'impianto stesso del capitalismo, che non comporta alcuna benevolenza da parte del creditore nei confronti del debitore.

L'unica soluzione praticabile sembra quella avanzata, per l'appunto, dall'Unione delle comunità islamiche italiane, secondo la quale il tabù dell'usura, concernendo i soggetti individuali ma non quelli collettivi, potrebbe essere sormontato concedendo ai lavoratori islamici di aprire conti bancari individuali senza incassare interessi, e concedendo in cambio alla comunità un prestito a tasso zero quando essa ha bisogno di fare un investimento, per esempio costruire una nuova moschea. L'interesse, in questo caso, sarebbe accettato in quanto devoluto a favore non dei singoli individui, bensì dell'intera comunità. Nessuno violerebbe il dettato coranico, dato che in esso la sollecitazione da parte di maometto a sopperire ai bisogni della comunità con donazioni di denaro è incessante.

2.

In un articolo precedente, sulla scorta di un libro di Le Goff, ho ricostruito i motivi per cui il tabù dell'usura è stato superato dalla Chiesa cattolica nel corso del XV° secolo. Tale superamento rappresenta ancora oggi la chiave di fondo per interpretare la convivenza tra due ideologie - quella cristiana e quella capitalistica - che, per molti altri aspetti, si possono ritenere incompatibili. Alla luce di questo fatto storico, molti studiosi occidentali ritengono che il mantenersi di quel tabù presso i fondamentalisti islamici sia uno dei tanti segni di una grave arretratezza culturale. Di arretratezze nella cornice dei fondamentalismi religiosi (compreso quello cristiano) se ne danno tante. Quella in questione è però la più giustificabile. Il tentativo di giustificarla porta poi, come si vedrà, ad una conclusione alquanto sorprendente.

Occorre partire da lontano. La storia dell'economia viene spesso ricostruita in termini semplicistici assumendo lo scambio di merci come fondamentale, prima sotto forma di baratto, poi mediato da una merce particolare, il denaro appunto. In realtà lo scambio è nato solo con il surplus, con l'eccedenza assicurata dalla coltivazione delle terre. Anche in precedenza, gli uomini scambiavano beni, ma, come ha stabilito l'antropologia economica, esso si realizzava più spesso sotto forma di doni reciproci. I sistemi economici primitivi sembrano orientati più che all'accumulazione, ad un distribuzione più o meno equilibrata delle risorse, con l'obbligo per le persone abbienti di dare di più.

Con il surplus e la conseguente formazione di patrimoni individuali, si è avviata la pratica dei prestiti usurai. Per un lunghissimo periodo di tempo, però, essa è venuta ad urtare contro ostacoli di natura religiosa, corrispondenti ad una diffusa mentalità popolare. La possibilità che i membri di una comunità, costretti a chiedere aiuto sotto forma di prestiti, fossero espropriati di tutti i loro beni in conseguenza di un'inadempienza contrattuale, è stata sempre ritenuta, per il suo cinismo, incompatibile con il richiamo ricorrente alla giustizia e ad un minimo di solidarietà sociale. Il prestito economico non è stato vissuto, sino al Medioevo, come un fatto puramente economico, bensì come un particolare rapporto interpersonale che determinava un'interazione tra qualcuno che ha e può dare e qualcun altro che non ha ed è bisognoso di aiuto. I termini del contratto non potevano misconoscere quest'aspetto.

Il riferimento culturale obbligato, a riguardo, è la Bibbia. Oltre al divieto dell'usura ("Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse." Esodo, 22, 24), risulta in essa un'istituzione affatto particolare che non ha riscontri in altre culture: il Giubileo. Si trattava di una "festa"rituale che si ripeteva ogni sette anni nel corso dei quali le terre espropriate venivano restituite e i debiti cancellati, in maniera tale da riequilibrare economicamente la società impedendo che si perpetuassero dislivelli di status troppo marcati. E' storicamente vero che questa pratica rituale non si è mai realizzata compiutamente nel corso della storia ebraica, al punto che, all'epoca di Gesù, gli squilibri economici erano imponenti. Non solo però il principio rituale che sottendeva il Giubileo non è stato mai rinnegato, ma esso traspare in maniera chiara nella più importante preghiera cristiana, il Padre nostro ("rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori").

Per questa aspetto, come per tanti altri, Maometto si riconduce alla Bibbia, con l'intento di restaurarne i principi di base violati dagli Ebrei. Nel Corano, di fatto, la stigmatizzazione del fatto che questi si sono dedicati all'usura è implacabile.

Anche al di fuori di una cornice ideologica religiosa, l'usura è stata contestata più volte. A Roma, laddove essa era largamente praticata, la riforma gracchiana, conclusasi con l'uccisione di entrambi i Gracchi, era incentrata sull'azzeramento dei debiti contratti dalle masse contadine.

E' banale ritenere che il tabù dell'usura corrisponda solo ad una rozza cultura economica preesistente la nascita del capitalismo e della scienza economica. Esso di fatto corrisponde ad una logica comunitaristica che privilegia un'equa distribuzione in opposizione all'accumulazione patrimoniale individuale. Solo laddove il diritto di proprietà privata viene enfatizzato in opposizione ai bisogni sociali comunitari, l'usura viene riconosciuta come intrinseca a tale diritto sotto forma di interesse. E' quanto è accaduto appunto, in Occidente, dal XV° secolo in poi, allorché la Chiesa cattolica ha riconosciuto la liceità del sistema creditizio, bancario, di cui, a più riprese, essa stessa si è servita.

3.

Il superamento del tabù dell'usura, vale a dire del guadagnare denaro per mezzo del denaro, è avvenuto sulla base di un ragionamento economico che ancora oggi è accreditato come oggettivo. Il creditore ha diritto ad un interesse sulla somma prestata per due motivi. Il primo è che egli, prestando denaro, si sacrifica vietandosi immediatamente i vantaggi che potrebbe ricavare da un suo uso diverso (per es. il consumo). Il secondo è che egli, per quanto possano essere rigide le regole contrattuali del prestito, corre un rischio: l'insolvenza del debitore. Il sacrificio e il rischio sono i due parametri che determinano l'interesse e lo rendono lecito.

Tale logica è inoppugnabile in termini razionali, ma lo è all'interno del sistema capitalistico, laddove il sistema creditizio è istituzionalizzato, vale a dire passa attraverso le banche. Colui che chiede un prestito alla banca, non sa di chi è il denaro che riceve né chi è colui che si avvantaggia degli interessi. Istituzionalizzato e impersonalizzato, il sistema creditizio funziona sulla base del principio per cui il denaro è null'altro che una merce, sia pure particolare, che ha un costo attuale e un costo futuro.

Anche all'interno del sistema capitalistico, la razionalità del credito riconosce i suoi limiti. Abbassando i tassi di interesse, la banca centrale di ogni nazione rende facile l'accesso al denaro in prestito, ma lo rende tale soprattutto per coloro che già hanno, i quali, dando garanzie di solvibilità, possono agevolmente ottenere dei prestiti e utilizzarli speculativamente. Si dà poi un limite al diritto di proprietà dei creditori. Se essi sono potenti, tale diritto è assoluto. Se essi, invece, sono economicamente deboli, quel diritto può essere facilmente violato, o subodinato al diritto di creditori più potenti. Questo e null'altro significano le recenti vicende (dalla Enron negli Stati Uniti alla Parmalat in Italia), che, in seguito alle crisi societarie, hanno visto le banche tutelare i loro diritti a scapito di quelli dei piccoli investitori.

Fuoriuscendo dal sistema capitalistico, rimane fermo il fatto che l'accumulazione di denaro e il prestito sono l'espressione di determinati rapporti sociali, interpersonali. Se questo è vero, non si può né si deve prescindere dal tenere conto delle soggettività implicite in quei rapporti, dei loro bisogni e dal potere contrattuale di cui dispongono. Questa è la logica adottata dall'Islam, la quale fa capo al fatto che colui che presta denaro non sacrifica di certo l'essenziale per vivere, ma il di più che la buona sorte e il volere di Allah (al di là dei meriti personali) gli hanno assegnato, mentre colui che chiede denaro in prestito è e non può essere che bisognoso. Sovrapporre a questa logica sociale, interpersonale le leggi oggettive dell'economia significa fare del denaro una cosa misteriosa caduta dal cielo, il cui valore è astratto.

Giunti a questo punto, non dovrebbe essere difficile capire la conclusione sorprendente cui si giunge comparando la concezione islamica dell'economia - comunitaristica - con quella capitalistica incentrata sul diritto di proprietà privata. L'assunzione dell'economia come un sistema di scambi tra soggetti sociali, vale a dire la negazione della sua oggettività assoluta, che è a fondamento del tabù islamico dell'usura, è lo stesso principio da cui muove l'analisi di Marx del sistema capitalistico. Ciò non significa che l'Islam abbia qualcosa a che vedere con Marx, né che questi abbia tratto ispirazione da Maometto. Se si parte da una logica comunitaristica, per cui il bene comune o il contenimento dell'iniqua distribuzione dei beni sono valori primari, si giunge semplicemente alle stesse conclusioni per cui considerando il mercato un sistema di scambi tra soggetti impersonali il bene comune viene compromesso e la distribuzione delle risorse diventa progressivamente più iniqua.

Il tabù dell'usura può dunque essere identificato come espressione di un pensiero economico retrogrado e scientificamente infondato. Adottando una diversa cornice di riferimento, esso rappresenta la contestazione del capitalismo finanziario. Nell'attuale situazione di crisi del sistema economico capitalistico, una riflessione profonda sulla presunta oggettività delle leggi economiche sarebbe oltremodo utile.

Ottobre 2004